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vane di negozio.
CAVALIERE. (Che donna singolare è costei!). (Da sé.)
FABRIZIO. Ma vuol ella andar via così presto?
CAVALIERE. Sì, così vogliono i miei affari.
FABRIZIO. La prego di ricordarsi del cameriere.
CAVALIERE. Portate il conto, e so quel che devo fare.
FABRIZIO. Lo vuol qui il conto?
CAVALIERE. Lo voglio qui; in camera per ora non ci va-
do.
FABRIZIO. Fa bene; in camera sua vi è quel seccatore
del signor Marchese. Carino! Fa l innamorato della
padrona; ma può leccarsi le dita. Mirandolina deve
esser mia moglie.
CAVALIERE. Il conto. (Alterato.)
FABRIZIO. La servo subito. (Parte.)
SCENA SEDICESIMA
CAVALIERE (solo). Tutti sono invaghiti di Mirandolina.
Non è maraviglia, se ancor io principiava a sentirmi
accendere. Ma anderò via; supererò questa incognita
forza... Che vedo? Mirandolina? Che vuole da me?
Ha un foglio in mano. Mi porterà il conto. Che cosa
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Carlo Goldoni - La locandiera
ho da fare? Convien soffrire quest ultimo assalto. Già
da qui a due ore io parto.
SCENA DICIASSETTESIMA
Mirandolina con un foglio in mano, e detto.
MIRANDOLINA. Signore. (Mestamente.)
CAVALIERE. Che c è, Mirandolina?
MIRANDOLINA. Perdoni. (Stando indietro.)
CAVALIERE. Venite avanti.
MIRANDOLINA. Ha domandato il suo conto; l ho servi-
ta. (Mestamente.)
CAVALIERE. Date qui.
MIRANDOLINA. Eccolo. (Si asciuga gli occhi col grembia-
le, nel dargli il conto.)
CAVALIERE. Che avete? Piangete?
MIRANDOLINA. Niente, signore, mi è andato del fumo
negli occhi.
CAVALIERE. Del fumo negli occhi? Eh! basta... quanto
importa il conto? (legge.) Venti paoli? In quattro
giorni un trattamento si generoso: venti paoli?
MIRANDOLINA. Quello è il suo conto.
CAVALIERE. E i due piatti particolari che mi avete dato
questa mattina, non ci sono nel conto?
MIRANDOLINA. Perdoni. Quel ch io dono, non lo met-
to in conto.
CAVALIERE. Me li avete voi regalati?
MIRANDOLINA. Perdoni la libertà. Gradisca per un atto
di... (Si copre, mostrando di piangere.)
CAVALIERE. Ma che avete?
MIRANDOLINA. Non so se sia il fumo, o qualche flussio-
ne di occhi.
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Carlo Goldoni - La locandiera
CAVALIERE. Non vorrei che aveste patito, cucinando
per me quelle due preziose vivande.
MIRANDOLINA. Se fosse per questo, lo soffrirei... volen-
tieri... (Mostra trattenersi di piangere.)
CAVALIERE. (Eh, se non vado via!). (Da sé.) Orsù, tene-
te. Queste sono due doppie. Godetele per amor
mio... e compatitemi... (S imbroglia.)
MIRANDOLINA (senza parlare, cade come svenuta so-
pra una sedia.)
CAVALIERE. Mirandolina. Ahimè! Mirandolina. È sve-
nuta. Che fosse innamorata di me? Ma così presto? E
perché no? Non sono io innamorato di lei? Cara Mi-
randolina... Cara? Io cara ad una donna? Ma se è sve-
nuta per me. Oh, come tu sei bella! Avessi qualche
cosa per farla rinvenire. Io che non pratico donne,
non ho spiriti, non ho ampolle. Chi è di là? Vi è nes-
suno? Presto?... Anderò io. Poverina! Che tu sia be-
nedetta! (Parte, e poi ritorna.)
MIRANDOLINA. Ora poi è caduto affatto. Molte sono le
nostre armi, colle quali si vincono gli uomini. Ma
quando sono ostinati, il colpo di riserva sicurissimo è
uno svenimento. Torna, torna. (Si mette come sopra.)
CAVALIERE (torna con un vaso d acqua.): Eccomi, ec-
comi. E non è ancor rinvenuta. Ah, certamente costei
mi ama. (La spruzza, ed ella si va movendo.) Animo,
animo. Son qui cara. Non partirò più per ora.
SCENA DICIOTTESIMA
Il Servitore colla spada e cappello, e detti.
SERVITORE. Ecco la spada ed il cappello. (Al Cavalie-
re.)
CAVALIERE. Va via. (Al Servitore, con ira.)
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Carlo Goldoni - La locandiera
SERVITORE. I bauli...
CAVALIERE. Va via, che tu sia maledetto.
SERVITORE. Mirandolina...
CAVALIERE. Va, che ti spacco la testa. (Lo minaccia col
vaso; il Servitore parte.) E non rinviene ancora? La
fronte le suda. Via, cara Mirandolina, fatevi coraggio,
aprite gli occhi. Parlatemi con libertà.
SCENA DICIANNOVESIMA
Il Marchese ed il Conte, e detti.
MARCHESE. Cavaliere?
CONTE. Amico?
CAVALIERE. (Oh maldetti!). (Va smaniando.)
MARCHESE. Mirandolina.
MIRANDOLINA. Oimè! (S alza.)
MARCHESE. Io l ho fatta rinvenire.
CONTE. Mi rallegro, signor Cavaliere.
MARCHESE. Bravo quel signore, che non può vedere le
donne.
CAVALIERE. Che impertinenza?
CONTE. Siete caduto?
CAVALIERE. Andate al diavolo quanti siete. (Getta il va-
so in terra, e lo rompe verso il Conte ed il Marchese, e
parte furiosamente.)
CONTE. Il Cavaliere è diventato pazzo. (Parte.)
MARCHESE. Di questo affronto voglio soddisfazione.
(Parte.)
MIRANDOLINA. L impresa è fatta. Il di lui cuore è in
fuoco, in fiamme, in cenere. Restami solo, per com-
piere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio
trionfo, a scorno degli uomini presuntuosi, e ad onore
del nostro sesso. (Parte.)
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Carlo Goldoni - La locandiera
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Camera di Mirandolina con tavolino e biancheria da stirare.
Mirandolina, poi Fabrizio.
MIRANDOLINA. Orsù, l ora del divertimento è passata.
Voglio ora badare a fatti miei. Prima che questa
biancheria si prosciughi del tutto, voglio stirarla. Ehi,
Fabrizio.
FABRIZIO. Signora.
MIRANDOLINA. Fatemi un piacere. Portatemi il ferro
caldo.
FABRIZIO. Signora sì. (Con serietà, in atto di partire.)
MIRANDOLINA. Scusate, se do a voi questo disturbo.
FABRIZIO. Niente, signora. Finché io mangio il vostro
pane, sono obbligato a servirvi. (Vuol partire.)
MIRANDOLINA. Fermatevi; sentite: non siete obbligato
a servirmi in queste cose; ma so che per me lo fate vo-
lentieri ed io... basta, non dico altro.
FABRIZIO. Per me vi porterei l acqua colle orecchie. Ma
vedo che tutto è gettato via.
MIRANDOLINA. Perché gettato via? Sono forse un in-
grata?
FABRIZIO. Voi non degnate i poveri uomini. Vi piace
troppo la nobiltà.
MIRANDOLINA. Uh povero pazzo! Se vi potessi dir tut-
to! Via, via andatemi a pigliar il ferro.
FABRIZIO. Ma se ho veduto io con questi miei occhi...
MIRANDOLINA. Andiamo, meno ciarle. Portatemi il fer-
ro.
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FABRIZIO. Vado, vado, vi servirò, ma per poco. (An-
dando.)
MIRANDOLINA. Con questi uomini, più che loro si vuol
bene, si fa peggio. (Mostrando parlar da sé, ma per es-
ser sentita.)
FABRIZIO. Che cosa avete detto? (Con tenerezza, tor-
nando indietro.)
MIRANDOLINA. Via, mi portate questo ferro?
FABRIZIO. Sì, ve lo porto. (Non so niente. Ora la mi tira
su, ora la mi butta giù. Non so niente). (Da sé, parte.)
SCENA SECONDA
Mirandolina, poi il Servitore del Cavaliere.
MIRANDOLINA. Povero sciocco! Mi ha da servire a suo
marcio dispetto. Mi par di ridere a far che gli uomini
facciano a modo mio. E quel caro signor Cavaliere,
ch era tanto nemico delle donne? Ora, se volessi, sa-
rei padrona di fargli fare qualunque bestialità.
SERVITORE. Signora Mirandolina.
MIRANDOLINA. Che c è, amico?
SERVITORE. Il mio padrone la riverisce, e manda a ve-
dere come sta!
MIRANDOLINA. Ditegli che sto benissimo.
SERVITORE. Dice così, che beva un poco di questo spi-
rito di melissa, che le farà assai bene. (Le dà una boc-
cetta d oro.)
MIRANDOLINA. È d oro questa boccetta?
SERVITORE. Sì signora, d oro, lo so di sicuro.
MIRANDOLINA. Perché non mi ha dato lo spirito di me-
lissa, quando mi è venuto quell orribile svenimento?
SERVITORE. Allora questa boccetta egli non l aveva.
MIRANDOLINA. Ed ora come l ha avuta?
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SERVITORE. Sentite. In confidenza. Mi ha mandato ora
a chiamar un orefice, l ha comprata, e l ha pagata do-
dici zecchini; e poi mi ha mandato dallo speziale e
comprar lo spirito.
MIRANDOLINA. Ah, ah,ah. (Ride.)
SERVITORE. Ridete?
MIRANDOLINA. Rido, perché mi manda il medicamen-
to, dopo che son guarita del male.
SERVITORE. Sarà buono per un altra volta.
MIRANDOLINA. Via, ne beverò un poco per preservati-
vo. (Beve.) Tenete, ringraziatelo. (Gli vuol dar la boc-
cetta.)
SERVITORE. Oh! la boccetta è vostra. [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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